Mission partenopea di Giovanni Colangelo bilancio di una carriera del procuratore capo della Repubblica di Napoli
“L’amore per Napoli ha moltiplicato il mio impegno”. Con queste parole, il procuratore capo della Repubblica di Napoli Giovanni Colangelo sigla la straordinaria profusione di energia dedicata alla sua mission in terra di Partenope, che non si è arrestata neanche di fronte alla consapevolezza di essere un avversario scomodo per la criminalità che aveva progettato un attentato contro di lui: ma, paradossalmente, come ebbe a rimarcare il presidente del Tribunale di Napoli Ettore Ferrara «l’obiettivo che la camorra sperava di perseguire per le vie cruenti e criminali di togliere un magistrato di rilievo ed efficiente come Colangelo da capo della Procura di Napoli si realizzerà lo stesso per effetto di una scelta del legislatore che anticipa indiscriminatamente il termine di collocamento a riposo dei magistrati».
Infatti, a giorni, allo scoccare del suo 70 compleanno, Colangelo lascerà il suo ufficio al Centro Direzionale, in mancanza di una decisione del governo sul decreto Milleproroghe che – come molti auspicano da tempo – potrebbe dilatare i termini per il pensionamento dei magistrati che nel 2017 compiono 70 anni poiché prevede che restino in servizio fino al 31 dicembre i magistrati che nel corso dell’anno compiono 70 anni di età. Guardando indietro, al percorso fin qui compiuto, l’eccellente magistrato afferma “Mi sono ambientato subito a Napoli, in pochi mesi, prendendo atto e coscienza dei problemi enormi della città e del suo hinterland: benchè molto diversa da altri capoluoghi del Sud come Potenza e Bari – dalle cui Procure provenivo – Napoli mi ha affascinato anche per la complessità degli aspetti giuridici del mio lavoro, dovuta all’utenza più numerosa, al numero di magistrati e cause e anche al fatto che qui il tipo di criminalità vigente investe molti aspetti della vita sociale, spaziando dai reati ambientali al riciclaggio, dalla criminalità organizzata ai reati della Pubblica Amministrazione”.
“Non è piaggeria né compiacenza se affermo che sia io che la mia famiglia ci siamo innamorati di questa fantastica città e proprio il trasporto per la terra di Partenope mi ha fatto sentire ancora più impegnato verso la città e la comunità: la osservo con occhi obiettivi, provenendo da fuori e avendo, quindi, nei suoi confronti maggiore terzietà. Mi è stato di grande ausilio, nelle difficoltà incontrate, il rapporto umano con tanti colleghi e aggiunti che mi hanno accolto con ospitalità e collaborazione e che ricorderò sempre come Sandro Pennasilico, Francesco Greco, Rosario Cantelmo, l’indimenticabile Vittorio Martusciello per cui provo tuttora grande affetto e rimpianto, Carlo Alemi, Gino Mastrominico, Antonio Buonajuto, Elisabetta Garzo, Giuseppe De Carolis Di Prossedi e tanti altri arrivati dopo di me tra cui Luigi Riello, Antonio Gialanella, Ettore Ferrara e altri ancora che sarebbe troppo lungo citare.”
Quali sono i momenti che rimarranno scolpiti nella sua mente?
“Oltre alle prime difficoltà dovute all’impatto con una realtà profondamente diversa da quelle che conoscevo, posso ricordare anche la realizzazione di tante iniziative, una lunga serie di processi, la conferma delle tesi del Pubblico Ministero, la manifestazioni di compattezza del mio Ufficio; tra gli obiettivi raggiunti, i risultati dell’attività investigativa e le sentenze che fanno scuola verso gruppi criminali agguerriti, reati informatici e la corruzione, una serie di innovazioni apportate sulle strutture, sulla banca dati, l’informatizzazione, la regolamentazione di strumenti investigativi come le intercettazioni ambientali e telefoniche”.
Lei ha guidato la Procura in inchieste sui clan della camorra, babygang e paranze dei bambini che hanno acceso faide nel centro storico di Napoli: pensa che si potranno mai veramente sconfiggere questi fenomeni?
“Per evitare che le organizzazioni criminali addestrino sin dalla più tenera età i bambini a commettere reati occorre non solo la repressione effettuata attraverso gli Uffici Giudiziari ma soprattutto una risposta di tipo sociologico, per intervenire sul tessuto criminoso con strumenti pertinenti: bisogna partire dalle famiglie e dalla scuola per evitare la dispersione del patrimonio culturale ma, pur avendo più volte rivolto appelli alle madri, vedo che oggi le donne assumono un ruolo di comando nei clan nel solco dei coniugi uccisi o incarcerati e avviano i loro bambini a spacciare droga infra 14 anni. Abbiamo attivato una forma interattiva con Comune, Istituzioni e Procura Minorile e ho trovato grande disponibilità nella Dott.ssa Maria de Luzenberger Milnernsheim per operare in sinergia, scambiarci informazioni se riteniamo dei minori esposti a rischio fisico o giuridico e disporre accessi e verifiche sociali. Per salvare queste giovani vite occorre focalizzare l’attenzione su zone a rischio come Scampia, Rione Traiano, Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio, Secondigliano, tenendo conto che ve ne sono altre che incombono anche su spazi centralissimi per la peculiarità della conformazione urbana, per cui Forcella insiste sulla zona turistica dei presepi artigianali, la Sanità comprende il Museo Archeologico, i Quartieri Spagnoli si districano da via Toledo e Chiaja, il Pallonetto incombe su Piazza Plebiscito, per cui il problema non è circoscritto ma diffuso: quello che potrebbe rappresentare una ricchezza, se non viene valorizzato come tale, diviene una spina irritativa per cui accadono sparatorie per strada, si genera allarme sociale e si percepisce minore sicurezza.”
Crede che la camorra possa essere annientata?
“Io non mi arrendo passivamente all’idea che nulla possa cambiare e ho voglia di agire: non ho in tasca la ricetta vincente ma non accetto i pregiudizi che danno al crimine una patente di immortalità poiché ritengo che la via d’uscita dal dominio della camorra sia nello Stato, ovvero in noi, nel cambiamento della mentalità della gente.”
Ma i cittadini collaborano?
“Ci sono reati difficili da scoprire se le vittime non si fanno avanti: l’estorsione e l’usura sono piaghe sociali enormi che si consumano quotidianamente e vengono perlopiù scoperte incidentalmente attraverso intercettazioni. Io non chiedo atti di eroismo ma farei riflettere che proprio l’usura provoca danni inevitabili data la sproporzione fra soldi ricevuti e restituiti con interessi altissimi che portano gli usurai a impossessarsi di tutti i beni patrimoniali delle vittime: la mentalità collettiva deve cambiare, occorrono denunce, atti di quotidiana legalità, azioni virtuose, il rispetto delle libertà altrui e l’abbandono di facili scorciatoie. Lavorare non è comodo, richiede sacrifici da tutti ma è l’unica strada, quella giusta.”
Procuratore, accetterà nuovi incarichi?
“No, al momento mi rifiuto di fare altro, anche se la mia passione per l’insegnamento universitario non si è mai spenta: vorrei prolungare la mia permanenza a Napoli godendomela da turista, per ammirarne le infinite bellezze nascoste ai più, seguire le partite di calcio della squadra azzurra, continuare a girare per i negozi per conoscere i piccoli commercianti e ascoltare le loro storie. Saltuariamente riesco a dedicarmi al canottaggio, dopo una vita all’insegna dello sport in cui ho praticato nuoto, tennis, pesca subacquea, pallavolo, karate (sono cintura nera superiore): amo la fotografia e realizzo reportage dei miei viaggi con tutta la famiglia, nipotini compresi.”
Come valuta il suo percorso professionale?
“Posso tracciare un bilancio estremamente positivo per l’impareggiabile esperienza lavorativa in cui mi sono misurato con importanti situazioni; sono cresciuto accanto a colleghi inquirenti e giudici di alto profilo e continuo a studiare la natura tecnico-giuridica della materia legislativa. Sul piano umano sono stato gratificato dall’incontro con molte persone a cui mi lega un profondo affetto e ho avuto il privilegio di vivere in questa splendida città ricca di storia millenaria, arte, bellezza e cultura che ha un posto speciale nel mio cuore.”
Di Laura Caico