di Luigi Vittorio
Era il 1995 e un giovane Vincenzo Salemme salì alla ribalta teatrale con una sua opera che andava a rinverdire i fasti del teatro napoletano con un testo moderno, brillante, che sapeva unire la tradizionale comicità partenopea a tematiche moderne e serie, non trascurando anche aspetti tragici di una storia.
Da allora sono passati quasi vent’anni e Salemme è diventato un punto fermo non solo del teatro, ma anche di tutto il mondo dello spettacolo, anche e soprattutto mediante gli adattamenti cinematografici delle sue opere.
I risultati non sono sempre stati esaltanti ed ecco che quindi lo stesso Salemme ci riprova con una delle sue commedie più amate, quel “E Fuori Nevica” che, appunto, venti anni or sono lo fece conoscere al grande pubblico.
La storia è nota: i fratelli Righi, Enzo (Vincenzo Salemme), Stefano (Carlo Buccirosso) e Cico (Nando Paone) si ritrovano assieme per la lettura del testamento della loro madre, deceduta a seguito di un male incurabile e doloroso.
I tre sono diversi quanto il sole e la notte: Enzo è un sedicente musicista fanfarone ed egoista, Stefano, un uomo remissivo alla mercé della futura suocera e Cico, un uomo affetto da una forma di schizofrenia che gli impedisce di provvedere autonomamente a se stesso.
Stefano e Cico hanno vissuto per anni assieme e il primo ha da sempre provveduto ai bisogni del secondo, mentre Enzo, oberato dai debiti e privo di qualsiasi scrittura, torna a casa per verificare se la madre gli abbia lasciato qualcosa per far fronte ai suoi debiti.
I tre scoprono che l’unico bene in eredità è la casa in cui hanno vissuto da sempre ed è volontà della madre che i tre vivano sempre assieme.
Le vicende si snodano tra le crisi di Cico e situazioni tragicomiche che portano Enzo e Stefano a un’atroce scoperta: il loro terzo fratello ha provocato la morte della loro madre.
A questo punto non resta ai due che ricoverare Cico per evitare ogni conseguenza e vendere la casa per far fronte alle spese, pur andando in contrasto con quanto raccomandato nel testamento.
Inutile dire che sarà Cico a far in modo che la volontà della madre sia rispettata.
“E Fuori Nevica si presenta”, anche a distanza di tanto tempo, un testo vivo e brillante pieno di spunti comici che si sono mantenuti freschi nel tempo, pur perdendo quell’originalità che aveva decretato il successo di Vincenzo Salemme.
In “E fuori nevica”, ci sono tutti gli ingredienti che avrebbero poi fatto in futuro il successo dell’autore: l’atmosfera è leggera, piena di ritmo e di battute umoristiche, che si succedono in rapida sequenza, con dialoghi al fulmicotone, ma i temi e le situazioni sono drammatiche e tragiche.
Benché inizialmente sembri che solo Cico viva in un mondo parallelo a quello reale la storia insegnerà invece che sono proprio Stefano ed Enzo a essere immersi in una realtà fatta d’illusioni e di sogni.
Stefano ha perso il lavoro per stare accanto al fratello malato e l’unica via d’uscita la vede nell’improbabile matrimonio con una certa Nora, con la quale non riesce nemmeno a parlare al telefono per il pudore della suocera, ma la ragione di questa reticenza è un’altra, ben più spiacevole.
Enzo crede di essere un grande artista ma mente a se stesso: è un musicista fallito, incapace di tenersi anche un semplice contratto di cantante sulle navi da crociera.
Sarà paradossalmente proprio Cico che metterà i fratelli davanti alla realtà drammatica delle proprie vite.
Salemme è, come si diceva, un punto fermo del mondo dello spettacolo italiano, ma, se a teatro si è saputo distinguere per qualità e originalità, al cinema non ha mai convinto a pieno sia quando ha cercato di adattare le sue opere teatrali sia quando ha percorso vie nuove e inedite.
Con “E fuori Nevica” il discorso non cambia e ci si ritrova davanti allo schermo con un’unica domanda: perché?
Di là dallo scopo commerciale non s’intendono i motivi per cui si sarebbe dovuto prendere la commedia più famosa di Vincenzo Salemme e metterla su pellicola.
La sceneggiatura non aggiunge nulla alla visione iniziale dell’autore e il medium cinematografico non è sfruttato affatto se non per liberare gli attori dai limiti di un palcoscenico e immergerli in una Napoli sempre luminosa e solare. Salemme non sfrutta il potere immaginifico del cinema, preferendo raccontare gli eventi mediante il discorso e non appunto mediante le immagini, vero cuore di ogni film.
Le situazioni sono le medesime dell’opera teatrale che resta il punto di riferimento.
Salemme, Buccirosso e Paone sono naturalmente a loro agio con personaggi che conoscono fin troppo bene e che per i primi due hanno rappresentato gli archetipi per tanti altri caratteri che hanno interpretato nel corso degli anni.
Anche le sequenze comiche restano divertenti, ma, si ribadisce, non si spiegano i motivi di un adattamento cinematografico ingiustificato nel modo in cui è stato girato.
L’unica sorpresa si disvela nel finale, differente e opposto, per certi versi, rispetto alla commedia teatrale, con un Salemme più positivo o forse desideroso di accattivarsi un pubblico più spensierato, alleggerendo la tensione che avrebbe potuto creare negli animi il finale originale.
E Fuori Nevica resta un film godibile e divertente, una sorta di omaggio che Salemme ha voluto dedicare alla sua carriera, chiudendo un cerchio che si è aperto con il grande pubblico quasi venti anni fa, con i compagni di viaggio più cari da Paone a Buccirosso, passando per Casagrande, ma che conferma anche la poca capacità dell’autore e regista di fare cinema vero, che sfrutti in modo appropriato tutte le potenzialità della settima arte.